Pubblicare post minacciosi su Facebook è sempre stalking, anche se la vittima non li legge (Cass. 19363/21)

stalking

 La Cassazione ha precisato che non vi è mai stata un’esclusione aprioristica di Internet (e di Facebook) dal novero degli strumenti con i quali può commettersi il reato di stalking.

Nelle aule di giustizia si è spesso affermato l’esatto contrario, tuttavia la Cassazione ha chiarito che l’invio alla persona offesa di “sms” ed email, o “post” sui social network valgono ad integrare il reato in questione; così come identica valenza possono assumere l’invio di foto o altro genere di messaggi dal contenuto denigratorio. In definitiva, non rileva tanto il mezzo attraverso il quale si pone in essere la condotta illecita, quanto piuttosto a fare da guida deve essere la concreta modalità con la quale la prima si è manifestata.

L’effetto – che va rigorosamente dimostrato – è quello dell’effetto vessatorio sulla persona offesa, la quale deve quindi essere rimasta vittima di una vera e propria azione persecutoria posta in essere nei propri confronti. Non è dirimente nemmeno il modo con il quale i messaggi – in gergo, appunto, “post” – siano divulgati: se non pongono dubbi quelli inoltrati al “profilo” della persona offesa (che viene attinta così da vicino nella propria individualità e, per l’effetto, percepisce direttamente il messaggio minaccioso), non devono nemmeno ritenersi privi di rilievo i “post” pubblicati sul profilo dell’autore del reato: in questo caso vale sempre il principio, ormai consolidato in giurisprudenza, secondo il quale ai fini dell’efficacia delle minacce non è detto che queste debbano necessariamente essere pronunciate in presenza della vittima. Lo stesso principio può ritenersi, secondo i Supremi Giudici, applicabile anche al caso dello stalking che, quindi, dimostra di essere rispondente ad uno schema ibrido: nonostante sia un reato abituale a forma vincolata, quest’ultima in realtà è tale soltanto nel rispetto della sequenza fenomenica “molestia-minaccia-ansia-timore”, ma rimane pur sempre commissibile in tutti i modi nei quali una condotta petulante o minacciosa può concretizzarsi.

Ai fini della sussistenza del delitto di atti persecutori non importa quale sia il mezzo attraverso il quale si manifestano le condotte incriminate, quanto piuttosto le modalità di queste ultime, dalle quali deve emergere l’effetto vessatorio sulla persona offesa.  

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